«Guardò l’ora?».
«Non ho ralogio, di giorno mi regolo col sole; quand’è scuro, con l’odore della notte: ho una specie di segnatempo naturale, inserito dentro al mio corpo».
«Ha detto l’odore della notte?».
«Sì. A seconda dell’ora, la notte cangia odore».
Non so cosa avesse esattamente in mente Camilleri quando parlava di odore della notte, ma di certe mie notti mi è rimasto dentro l’odore di salsedine e sabbia, di fuoco e cenere, di lenzuola sudate, di attese e di sconfitte. E quell’odore di legna bruciata, di erba tagliata… così intenso, persistente.
Per quanto metta in gioco la testa, in ogni situazione c’è sempre un odore, imprevedibile, effimero, inafferrabile, a scombinare la ragione.
Ficco il naso nel cibo, nel vino, cerco sempre qualcosa di intimo, di strettamente mio. Certi profumi sembrano inventati per nutrire la nostalgia. Sembra che il mio naso abbia vita propria, come il naso del giovane burocrate Kovalev che passeggia, avvolto in una uniforme dorata e con un cappello di piume lungo la Prospettiva Nevskij, mentre il legittimo proprietario lo rincorre per convincerlo a tornare al suo posto… che geniaccio Gogol!
Così che un giorno leggo su una pagina Facebook “Analisi sensoriale” e “grappe e acqueviti” e subito scatta l’interesse a frequentare on line il corso di 5 serate di assaggio condotte da Anag – Assaggiatori grappa e acquaviti – delegazione di Catania.
Stammi a sentire allora tu – che, come me, mandi sempre in avanscoperta i sensi – quando ti accosti ad un distillato, a una grappa appunto (me l’ha spiegato Giorgio Solarino, docente Anag Catania) devi essere anzitutto cosciente del grande privilegio che stai vivendo e quel mondo fatto di storie di uomini, di fatiche, di desideri e sogni, devi essere capace di tirarlo fuori e comunicarlo, insieme alla cultura del “bere consapevole”.
Devi imparare a focalizzare e a gestire le sensazioni, a incanalarne attraverso le tecniche dell’analisi sensoriale in descrizioni con termini precisi, comprensibili. Obiettivo primario di Anag, infatti, è promuovere la Grappa e il mondo dei distillati, consentire al consumatore di scegliere in maniera ponderata tra i prodotti in commercio e incoraggiare le distillerie a indirizzare la produzione verso standard di qualità elevata.
La distillazione è una tecnica antica e raffinata che racchiude in sé qualcosa di magico, una ricerca quasi religiosa di profumi e aromi. «Se il vino è la poesia della terra, la grappa è la sua anima», dice Mario Soldati. Eppure la materia prima è rigorosamente un sottoprodotto della vinificazione, la vinaccia, la buccia, uno scarto per alcuni, almeno in passato. E così fino a una cinquantina di anni fa, mentre il vino finiva sulle tavole dei ricchi, la buccia veniva utilizzata dai contadini delle regioni più fredde per scaldarsi e alleviare la fatica. Ma tant’è… dai diamanti non nasce niente.
La Grappa è un distillato tutto italiano. In base al Reg. 110/2008, solo l’acquavite ottenuta da vinacce che provengono da uve coltivate e vinificate in Italia, e distillate in impianti ubicati su suolo nazionale, può fregiarsi della denominazione Grappa.
La grappa è sempre più femmina, ha un gusto morbido, meno pungente, elegante. Affinata in legno, invecchiata, barricata, la grappa si è guadagnata un posto nei salotti, con una decisa declinazione edonistica. E quanta cura, quanta passione. La grappa, oggi, si concepisce già in vigna, in accordo con l’enologo.
Eppure vive ancora di gesti antichi, lenti… il distillatore che inginocchiato, da solo, in silenzio, sfrega tra le mani le bucce fresche e poi avvicina la vinaccia al naso. Come un pittore, suggerisce Maurizio Molinaro (docente Anag Catania), che sceglie la sua tela e i suoi colori e che sa che quello sarà il suo quadro più bello.
E poi, alambicchi in rame, già usati da alchimisti e monaci, elaborati e personalizzati dal mastro distillatore, il taglio certosino delle teste e delle code, la bellezza del lavoro artigianale, la poesia della bottaia con i suoi effluvi, tutto finalizzato a ottenere un distillato con una personalità ben precisa, come racconta Angela Pacini (docente Anag Catania).
E così, dopo aver verificato colore e brillantezza e aver avvicinato e allontanato il naso dal bicchiere (rigorosamente Grappa Tasting Anag), frugando garbatamente nel mare magnum della mia memoria olfattiva, avvicino il bicchiere alle labbra… piccoli sorsi per apprezzarne al meglio le qualità, anche in via retrolfattiva. Poi, lascio il bicchiere a testa in giù su un telo di cotone bianco; lo riprenderò più tardi, sono sicura che saprà parlarmi ancora.
Tutto sommato è sempre una questione di cuore. Non di perfezione, ma di tendenza all’assenza di difetti, elemento di valutazione della scheda ufficiale di degustazione Anag.
E’ qui che riposa la bellezza. Nel cuore. E in un pizzico di testa.
Anna Maria De Luca